venerdì 16 settembre 2011

SESTO SENSO - A MIO PADRE

A mio padre


La primavera ormai era alle porte
nel letto d’ospedale la tua mamma,
donna bellissima, coraggiosa e forte
sola, in attesa dell’inizio del dolore,
pensava al suo uomo lontano,
in guerra, a difendere il tricolore.

L’anno era il ’15, il giovane papà
lontano da casa
non per sua volontà,
abbandonando moglie in dolce attesa,
senza notizie davanti al nemico
cercando di portargli offesa.

Dolori strazianti, inizia il travaglio,
qualcosa non funziona scatta l’urgenza,
qualcuno ha commesso uno sbaglio
in sala operatoria ogni tentativo risulta vano,
tu nasci sano e vispo, per lei nulla da fare
riesce solo a sfiorarti con la mano.

Tristi storie della vita,
appena nato, solo in ospedale,
quale destino dopo questa ferita?
una mamma vicino a te più fortunata
in attesa che il papà faccia ritorno
ti prende con se, come una fata.

Cresci nella famiglia adottiva
in attesa che torni e ti ritrovi tuo papà,
inizi la scuola in attesa di una missiva
per riscaldarsi ognuno, alla mattina
deve portare un pezzo di legna
per quella lunga stradina.

Passano gli anni, sei già grandicello
quando un bel giorno appare un uomo
in cerca del suo fardello,
tuo padre, basta un incrocio d’occhi,
sprizza felicità da tutti i pori,
non è servito venire coi balocchi.

La famiglia è unita,
con lui cambi paese, torni a casa
brutti momenti, quale via di uscita?
ti obbligano in breve a trovare un’occupazione,
quattordicenne sei ancora un bambino,
come altri bambini in demolizione.-

La vita è dura, mani spellate, calli
sei giovane e lavori come un uomo,
la sera quando torni a casa, stalli,
avresti voglia di andarti a divertire
però sei stanco,
meglio andare a dormire.

Nel trentaquattro ecco la cartolina,
chiamato a compiere il tuo dovere
un giovane in bianco, la marina,
quando parti non sai cosa ti aspetta
a giugno del quaranta “Piazza Venezia”
annuncia la guerra maledetta.

Undici anni dura il tuo militare
fino al quarantacinque
a combattere e lottare,
l’orgoglio di essere italiano
non sana le ferite, cause di guerre,
in ogni essere umano.

Ed è il quarantasei
quando ritorni a casa,
un uomo adulto senza trofei;
una moglie, una famiglia, un lavoro
cerchi l’indipendenza
come fosse un tesoro.

Come se ancora non avessi dato
la vita ti riserva dei dolori,
la prima figlia che lei ti ha donato
dopo pochi istanti di vita,
causa una bronchite,
muore e si apre una nuova ferita.

Non sei certo l’uomo che si arrende,
ora più che mai vuoi un figlio
la vita ti ha abituato a usare bende;
la mamma è incinta, confidi in Dio
nove mesi di attesa scontata
a maggio del cinquantuno, nasco io.

Mi prometti una vita migliore,
non deve mancarmi niente,
certo non ti spaventa il sudore;
educazione, insegnamenti, scuola
cerco di non deluderti
mi impegno sino a raggiungere il diploma.

Ma gli anni passano, l’età avanza
i segni di una vita disperata
presto diventano sostanza;
quando finalmente eri sereno
ed iniziavi a stendere le ossa
la morte ti ha preso in un baleno.

Scontato dire “papà unico al mondo”
per tutti i figli i padri son così
quello che mi fa male nel profondo,
ora, che non sei più qui con me,
è non averti detto tante cose
quelle che senza indugio dicesti te.

Chissà se leggerai queste due righe
dal paradiso, dove certamente sei,
tra verdi prati e dorate spighe;
si, certamente, palpo la tua presenza,
la protezione che mi dai “padre mio”
da lassù, che colma la mia esistenza.


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